Perché tutelare il più debole è un concetto così strano per l’automobilista italiano?
Questo post sui gruppi di ciclisti sportivi che intralciano le auto sulle strade di montagna o sulle provinciali ha suscitato un numero insolitamente grande di visite (60.000 in un singolo weekend, 120.000 visite in tre mesi) e di commenti (84 nello stesso periodo, oltre duecento ad oggi). Segno che l’argomento è controverso.
I commentatori possono essere identificati in diverse categorie:
- Ciclisti arrabbiati. Hanno rischiato più volte la vita per un comportamento imprudente o scorretto di automobilisti e autisti professionisti, e sentono il problema sulla loro pelle.
- Automobilisti arrabbiati. Vedono i ciclisti esclusivamente come un intralcio alla circolazione, dimenticando che il vero intralcio, quello che crea il traffico e li tiene fermi in coda per ore ogni anno, sono le auto.
- Cinici non solidali. Automobilisti che dicono: “in caso di incidente vi fate male voi, quindi state attenti voi… a me al massimo, se ho torto, mi aumentano l’assicurazione”.
- Legalitari egualitari. “Tutti devono rispettare il codice della strada” è il loro mantra, come se fosse la semplice soluzione a qualsiasi problema. Spesso analizzando quello che scrivono si scopre che non conoscono il codice bene come pensano, oppure ne dimenticano opportunisticamente le parti meno favorevoli all’auto (esempio: il mezzo che sorpassa deve segnalare sempre e lasciare sempre adeguato spazio laterale, cambiando corsia quando esiste). In genere considerano il codice come un blocco unico che non si può criticare, ignorando il fatto che quello italiano è talvolta ambiguo o scritto male (ad esempio NON vieta di andare in bici appaiati, ma lo consente in modo ambiguo e vago art 182, comma 1) e comunque può avere articoli poco razionali o superati dai tempi. Gli automobilisti ignorano anche un importante aspetto storico del codice della strada: è nato principalmente per tenere a freno la pericolosità delle auto. Prima della diffusione delle auto, per cavalli e bici esistevano regolamenti comunali abbastanza semplici e non erano necessari né semafori né la complessa segnaletica stradale odierna.
- Legalitari dogmatici. “È vietato, quindi è giusto così”. Curiosamente, sono meno dogmatici per le regole che non convengono loro.
- Persone di buon senso. Si rendono conto che il buono e il cattivo è da tutte le parti ma soprattutto si rendono conto che all’aumentare di velocità e massa il mezzo di trasporto diventa sempre più pericoloso, e quindi l’auto, per la sua pericolosità intrinseca, ha bisogno di maggiore disciplina rispetto alla bici (che comunque, a sua volta, sopra i 25 kmh può diventare anch’essa parecchio pericolosa).
- Chi ha capito che il punto vero è tutelare il più debole. Tutelare il più debole è un concetto alieno al Codice della strada italiano, che tende invece a mettere tutti, veicoli, biciclette e pedoni, sullo stesso piano. Ad esempio nel regolamento relativo all’articolo 182 al comma 1 si dice “1. I ciclisti nella marcia ordinaria in sede promiscua devono sempre evitare improvvisi scarti, ovvero movimenti a zig-zag, che possono essere di intralcio o pericolo per i veicoli che seguono.” Cioè la preoccupazione del legislatore è che il ciclista che sbanda per evitare una buca sia di pericolo o intralcio per il camion che segue!…
In molti commenti stupisce l’assenza di pragmatismo, equanimità e sensibilità. Se incontri 50, 30 o 10 ciclisti in gruppo, non puoi pensare che siano tutti lord inglesi e quindi se suoni aggressivamente per chiedere strada questi rispondano con flemma e distacco. Non puoi neanche pensare che “fare strike” (espressione usata in due commenti) sia un gioco innocente.
Sono 50, 30 o 10 persone, che avranno temperamenti, caratteri ed educazioni diverse. Senza contare l’aspetto fisiologico: sono sotto sforzo da tempo, non sono seduti in poltrona. Sono, comunque, un branco, non un singolo individuo razionale ed educato come un lord inglese.
Dall’altra se l’evento su alcune strade capita con frequenza, non puoi nemmeno pensare che basti richiamarsi a un’astratta regola del codice per risolvere il problema.
Gruppi che si formano spontaneamente, come le code di auto
Un fatto di cui molti commentatori critici non tengono conto è che questi gruppi di ciclisti, da 5 o da 50, spesso si formano spontaneamente, esattamente come si formano spontaneamente le code di auto. Non c’è nessuno che li organizza o che può scioglierli in breve tempo, esattamente come nessuno riesce a sciogliere magicamente le code d’auto, se non aspettanto. E le code di auto in genere costituiscono un intralcio alla circolazione ben maggiore di qualsiasi gruppo di ciclisti.
È evidente che il problema dei ciclisti sportivi amatoriali e professionisti viene tenuto in scarsa considerazione nel codice della strada, se non per le incombenze relative alla manifestazioni sportive, e sempre senza spirito di tutela del ciclista ma nell’ottica di un astratto intralcio alla circolazione. Come se i ciclisti, di ogni genere, non facessero parte della circolazione. Il totem è la massima velocità possibile che in molti casi sulle strade provinciali e di montagna non è così alta: la velocità media consentita ai “non piloti di rally” alla fin dei conti non è molto più elevata di quella dei ciclisti. A volte l’automobilista sbuffa perché è costretto per un km o due ad andare a 20 kmh laddove la strada non gli consentirebbe di andare a più di 40. In molti casi per sorpassare in sicurezza si tratta di pazientare due o tre minuti, alla fine.
Le associazioni di ciclismo sportivo dovrebbero pensare a questo problema, che è di legislazione, di cultura civica (da entrambe le parti, ma di più dal lato delle auto) e di comunicazione.
Il problema di base è che molti automobilisti italiani mancano di saggezza e non riconoscono ai veicoli più piccoli o quelli temporaneamente più lenti diritto di cittadinanza. La stessa impazienza la dimostrano con l’apecar, con l’utilitaria del pensionato col cappello, con i ciclomotori. E infatti l’Italia ha il record europeo di motociclisti morti sulle strade, ed è terza per ciclisti e pedoni.
Molti automobilisti non riconoscono neanche il diverso livello di pericolosità dei diversi mezzi.
Mettendo bici e auto sullo stesso piano, opportunisticamente sostengono la legittimità della prepotenza del più forte sul più debole.
Basta leggere qui e guardare questo video per rendersi conto del comportamento di alcuni automobilisti anche di fronte a ciclisti totalmente irreprensibili.
Dimenticando che, in città o in montagna dietro alle bici si procede, per quanto lentamente, e l’occasione buona per sorpassare arriva presto.
Dietro alle auto, invece, si sta spesso fermi in coda.
In ogni caso, per quelli che pensano che “il pericolo” siano i ciclisti, un piccolo ripasso delle statistiche degli incidenti stradali in Italia: il 70% delle persone uccise o ferite sono automobilisti. Seguono i pedoni (15%) e i passeggeri trasportati (14%).